Jan 192016
 

Forse lo parlate o forse no, ma senz’altro ha prestato parole ed espressioni al vostro vocabolario e conoscete parecchie persone che lo usano a volontà. Sì, mi riferisco al dialetto, una delle tante ricchezze della lingua italiana di cui il 17 gennaio si celebra la giornata nazionale. Linguaenauti ha colto l’occasione e, semplificando semplificando, ha messo insieme qualche curiosità sui dialetti dello stivale.

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Partiamo con alcuni dati: l’ultimo rapporto Istat sull’uso del dialetto è stato pubblicato alla fine del 2014 (dati raccolti nel 2012). Il 53,1% del campione tra i 18 e i 74 anni parla italiano in famiglia, mentre l’uso prevalente del dialetto riguarda il 9% della popolazione (le percentuali scendono con gli amici e crollano con gli estranei). Le donne mostrano una maggiore propensione a parlare in italiano in famiglia (55,2% a fronte del 51% degli uomini) e con gli amici (60,9% contro il 51,7% degli uomini). L’uso prevalente o esclusivo dell’italiano in famiglia è più diffuso al Centro e nel Nordovest (69,5%) rispetto al 38,8% dei residenti nel Nordest, Sud e isole.
Sfatiamo qualche convinzione

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È ancora diffusa l’idea che i dialetti siano una “corruzione” dell’italiano, ma non è affatto così: sono la normale evoluzione della lingua parlata localmente, che deriva in prevalenza dal latino (ma anche da dialetti tedeschi al nord e dal greco e albanese al sud) con l’influenza delle lingue precedenti (i sostrati) o arrivate successivamente con le conquiste militari, i movimenti migratori e così via. L’italiano standard si è evoluto a partire dal toscano. Perché proprio il toscano? È presto detto: grazie al prestigio e al successo di autori in volgare come Dante, Boccaccio e Petrarca (come sappiamo, anche il milanese Manzoni andò a sciacquare i panni in Arno secoli dopo). Dopo l’Unità d’Italia questa lingua principalmente letteraria parlata da una piccola percentuale della popolazione si diffuse grazie all’istruzione obbligatoria e, soprattutto, alla televisione. Insomma, pensate: se Jacopone da Todi avesse avuto più fortuna oggi ben altro italiano risuonerebbe nella penisola!

Lingue o dialetti?

La diatriba sulla definizione di lingua e dialetto è lunga e tortuosa e in Italia diventa particolarmente complicata per la grande varietà di parlate locali, alcune con una lunga tradizione letteraria o politica. Il governo italiano riconosce ufficialmente come lingue il sardo, il friulano e il ladino, mentre l’UNESCO riconosce anche il napoletano e il siciliano. Il dibattito tra tutela del patrimonio culturale e la normale evoluzione delle lingue è ancora lungo.

Quali dialetti si parlano in Italia?
È molto difficile tracciare confini netti per i dialetti italiani, dal momento che la varietà è talmente vasta da non consentire l’individuazione di ampi fasci di isoglosse, ovvero zone geografiche che condividono gli stessi tratti morfologici, fonetici o lessicali. Detto più semplicemente, in Italia anche paesini confinanti presentano dialetti con differenze molto marcate.

francescopetrarca_250x286Tuttavia è possibile individuare delle macroaree secondo alcune caratteristiche peculiari che permettono di raggruppare un buon numero di dialetti, di cui mi limito a segnalare solo alcuni tratti fonetici che senz’altro riconoscerete. La prima è la linea La Spezia-Rimini e delimita i dialetti settentrionali, che presentano l’indebolimento delle consonanti intervocaliche (ad esempio la semplificazioni delle doppie), la caduta delle vocali atone finali eccetto la a e l’assibilazione, o trasformazione in s, di consonanti palatali come la c. Insomma, il buon vecchio gióso de vin (dove “goccio” naturalmente è una metonimia per “bicchiere colmo”!).

dante_alighieri_2La linea Roma-Ancona separa la macroarea toscana da quella centro- meridionale, che va da Lazio, Umbria e Marche fino a Puglia e Calabria settentrionali. Come abbiamo detto, dal toscano deriva l’italiano standard, ma le differenze ci sono eccome. La principale consiste nella cosiddetta gorgia toscana, ovvero l’aspirazione di k, t, p (Mihela è nel phratho). L’area centro-meridionale invece si caratterizza per la vocale finale indistinta ə (quant’è bellə!), per la sonorizzazione delle occlusive dopo nasale, come dente > dende e per l’affricazione della s (un conziglio).

canzoniereI dialetti meridionali estremi vanno dal Salento alla Calabria centro-meridionale fino alla Sicilia e anche in questo caso i tratti comuni sono tanti e interessanti, come la distinzione tra o e u latine finali (focu meu! è l’Oh my God! della Calabria meridionale) o i suoni detti cacuminali, curiosamente presenti anche nelle lingue indiane e scandinave: l’affettuoso appellativo bedda mia ha proprio questo suono occlusivo retroflesso sonoro.

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