Mickey rend hommage à Corto Maltese avec La balade de la souris salée!
lastampa.it/…/topolino-incontra-corto-maltese-j…/pagina.html
« À bord d’un catamaran faisant face aux vagues du Pacifique, des marins aperçoivent au loin la silhouette d’un naufragé sur un radeau. Cela commence comme le chef-d’œuvre d’Hugo Pratt : La Ballade de la mer salée… et pourtant les personnages sont ceux de Disney ! Paru au printemps 2017 en Italie et réalisé par le grand maître Giorgio Cavazzano, Mickey Maltese est, plus qu’une parodie ou un simple hommage, une véritable relecture de la mythique première aventure de Corto. On y retrouve, outre Mickey dans le rôle-titre, le mystérieux personnage du Moine ainsi que Pat Hibulaire en Raspoutine et Minnie en Bouche Dorée…
– Topolino ha festeggiato i 50 anni dalla nascita di Corto Maltese con una parodia di « Una ballata del mare salato », la prima storia del marinaio creato da HugoPratt.
La storia, intitolata « Topo Maltese , una ballata del topo salato », è stata scritta da Bruno Enna e disegnata da GiorgioCavazzano E stata pubblicata in due parti, su Topolino, n. 3197 e n. 3198 nel marzo 2017. –
![]()
![]()
![]()
![]()
La ville de Rome vient de réhabiliter le poète latin Ovide en révoquant officiellement la «relégation» décidée par l’empereur Auguste en l’an 8 !
Dopo oltre duemila anni dall’esilio da Roma, voluto dall’imperatore Augusto, la città di Roma riabilita il poeta latino Publio Ovidio Nasone con la revoca ufficiale della “relegatio”.
En attendant de rencontrer
Jean-Luc Lévrier, à la Librairie Ombres Blanches, Mardi 13 février 2018 de 18H00 à 20H00, pour la présentation de sa traduction inédite: « Tristesse d’Ovide » publiée chez Sables Editions, parcourez :
– son blog: http://ovidii-amici.blogspot.fr/ – sa page FB: Les amis d’Ovide
Jean-Luc Lévrier est professeur de lettres classiques en classes préparatoires aux grandes écoles au Lycée Saint Sernin à Toulouse!
Nel bimillenario della sua morte, il poeta romano trova la riabilitazione e la revoca delle sue condanne grazie al riconoscimento dei suoi concittadini e del Comune di Roma.
Esattamente duemila anni fa, in una data non meglio precisata dalle fonti, il poeta Publio Ovidio Nasone moriva, solo e afflitto, a Tomi (attuale Costanza, in Romania) all’epoca un villaggio portuale sulle rive del Mar Nero, in quelle terre che i Romani chiamavano Ponto. Lui, cantore disilluso di un amore disincarnato e disincantato, fine esteta, cantore delle Metamorfosi e dei Fasti, si ritrovò a morire esule, in un piccolo centro, lontanissimo dalla natia Sulmona, circondato (stando alla sua stessa testimonianza) da rozzi barbari che non comprendevano neanche una parola del suo latino. Ovidio, relegato nell’angolo più remoto del neonato Impero Romano, non poté che ripensare con rammarico ai grandi amori cantati nei suoi carmi, ai consigli di seduzione che aveva offerto ai giovani romani nell’Ars Amatoria e agli unguenti profumati che aveva consigliato alle donne patrizie per corteggiare i rampolli delle più nobili famiglie nei Medicamina faciei feminae. Ma soprattutto Ovidio, durante la stesura dei Tristia, quei versi che raccolgono i suoi lamenti nostalgici e descrivono la sua triste condizione nel Ponto, ripensò alla bella vita che fu, quando a Roma vantava di poter essere uno dei fiori all’occhiello dei Circoli di Messalla Corvino e di Gaio Clinio Mecenate, le più prestigiose élite culturali del Principato Augusteo.
Ma per quale motivo Ovidio, illustre poeta, cadde in uno stato di disgrazia così atroce?
La risposta sembra offrircela lui stesso, proprio nei Tristia:
“Perdiderint cum me duo crimina, carmen et error alterius facti culpa silenda mihi.” | “Due crimini mi hanno condannato; un carme e un errore: di questo dovrò tacere quale sia stata la mia colpa.” |
(Ovidio, Tristia 2, 1,vv.207-208.) | |
A cosa si riferisce Ovidio, in questi due versi carichi di umanità e pregni di sincero dolore?
Il poeta stesso sembra rimanere criptico ed ermetico a riguardo: come accade molto spesso, quando le fonti mantengono il silenzio, sono gli storici a doversi dar da fare per ricostruire il tutto nel modo più verosimile possibile.
Tutto ciò che noi sappiamo, se escludiamo questi versi, è che fu il princeps Ottaviano Augusto in persona a provvedere all’esilio. Alla base della condanna, ne deduciamo, ci fu sicuramente un dissapore molto serio tra il poeta e l’Imperatore, uno screzio talmente grave da non poter permettere ad Augusto di optare per una pena più leggera: nel cacciare Ovidio da Roma e dai confini Italici, Ottaviano scelse la relegatio ad insulam, un esilio che, a differenza della deportatio, prevedeva solo l’allontanamento dell’individuo, senza che tuttavia egli perdesse la cittadinanza romana e le sue proprietà.
Il carme di cui parla il poeta è molto probabilmente l’Ars Amatoria, il poemetto in tre libri che forniva agli uomini e alle donne di tutta Roma i consigli più raffinati per “rimorchiare”. Nulla esclude tuttavia che il carme a cui accenna Ovidio stesso non siano in realtà i tre libri degli Amores, nei quali Ovidio si vantava delle sue avventure piccanti tra un’amante e l’altra. In ogni caso, la letteratura di Ovidio, nonostante avesse riscosso un certo successo e attirato il plauso del pubblico aristocratico romano, risultò scabrosa, oscena: prevedeva una visione dell’amore spensierata e superficiale, sdoganava il tradimento e l’infedeltà coniugale (quasi giustificandoli) e sembrava esaltare solo gli aspetti più carnali, più erotici dell’amore: tutto questo era inaccettabile agli occhi di un Augusto sempre più intenzionato a varare una politica volta a tutelare i valori morali della famiglia, emanando leggi che punissero l’adulterio e lo stupro e sanzionando con pene pecuniarie gli scapoli (oggi diremmo “i single”) che raggiunta una certa età non si fossero ancora sposati (la cosiddetta “tassa sul celibato” a cui si ispirò anche Mussolini). Seppur vero che la visione letteraria ovidiana strideva con la propaganda morale augustea, possiamo dire che questo carme bastò, da solo, a far infliggere su Ovidio una pena così tremenda?
Qui entra in gioco l’errore, forse il motivo più autentico per cui il poeta di Sulmona si guadagnò l’esilio nel Ponto: l’ipotesi più probabile è che Ovidio fosse uno dei tanti amanti con cui Giulia Maggiore, figlia di Augusto, aveva intrattenuto una relazione clandestina alle spalle del marito Tiberio (in barba alle leggi morali emanate dal padre). Plausibile è anche la teoria secondo la quale Ovidio avesse coperto e favorito la relazione adulterina tra Giulia Minore, nipote dell’Imperatore e moglie del console Lucio Emilio Paolo, e Giulio Decimo Siliano. Oltre a questi due “scandali a luci rosse”, come li definiremmo oggi, non sono da escludere anche altre numerose supposizioni avanzate dagli storici in merito al famoso “error” di cui parla Ovidio nei Tristia: secondo alcuni Ovidio era coinvolto in una congiura ai danni di Augusto, mentre secondo altri era venuto a conoscenza di dettagli privati del princeps e della moglie Livia.
Quel che è certo è che gli ultimi nove anni di vita Ovidio li trascorse lontano da Roma e dalla sua Sulmona: relegato nel Ponto nell’8 d.C., nonostante le dozzine di lettere di scuse e di suppliche inviate ad Augusto, il poeta non riuscì mai a tornare in patria, morendo da solo, lontano da casa, nel 17 d.C. La sua unica consolazione, durante il confinamento nella terra barbara, rimarrà la letteratura; durante l’esilio infatti, Ovidio scriverà, oltre ai Tristia e alle lettere destinate ai suoi familiari e all’Imperatore, tre brevi poemetti (Ibis, Phaenomena e Haieleutica) che non godranno però della stessa fortuna che già vantarono l’Ars Amatoria e le Metamorfosi.
La città di Sulmona è, praticamente da sempre, affettuosamente legata alla figura di Ovidio, a cui sono dedicate vie, piazze, ristoranti, statue, scuole, bar e addirittura un certamen, una gara di traduzione nella quale gli studenti del Liceo Classico si confrontano in una sfida a colpi di vocabolario in una traduzione di passi scelti delle opere del poeta. Nel bimillenario della sua morte, la città abruzzese non poteva esimersi dal conferire i dovuti omaggi a quello che senza dubbio è il suo più illustre cittadino: con precisione certosina e grazie a un lauto finanziamento europeo, il comune di Sulmona ha allestito un ricco programma di eventi di rilevanza nazionale e internazionale. Il Bimillenario Ovidiano racchiude le migliori proposte scientifiche e culturali, incentrate nello specifico della produzione ovidiana. Letteratura, arte, musica, cinema, teatro, enogastronomia, editoria, mostre, musica, fotografia, convegni. Tanti gli aspetti di varia natura inseriti in una serie di iniziative che valorizzano luoghi, eccellenze, beni materiali e immateriali da sempre cari al poeta latino.
Ma tra le proposte più affascinanti, spicca quella della revoca della relegatio: Ovidio, dopo due millenni, sarebbe finalmente assolto dalle sue colpe. Infatti l’assise civica capitolina si prepara a revocare il decreto emesso dall’imperatore Augusto nell’ormai lontanissimo primo secolo dopo Cristo. Il Comune di Roma ha deciso in questo modo di omaggiare il poeta sulmonese nell’anno del Bimillenario dalla morte. La proposta di “liberare” Ovidio dall’esilio era stata già avanzata in passato al Rotary Club di Sulmona, dal professore Giuseppe Martocchia, docente di Lettere nel Liceo Classico Ovidio (appunto) dal professore Raffaele Giannantonio e dalla professoressa Palma Crea Cappuccilli, anche lei docente nel Liceo Classico Ovidio. Nel 2012 anche il Consiglio comunale di Sulmona deliberò all’unanimità la richiesta di revoca della condanna di Ovidio, inviando la delibera al Consiglio comunale capitolino, che ha deciso di iniziare un lungo processo burocratico che avrà come fine la revoca della relegatio del poeta sulmonese… in un’occasione non casuale!
Ma come possono il comune di Sulmona e l’assemblea giudiziale del Comune di Roma porsi al di sopra di una sentenza emanata dallo stesso Augusto?
Semplice: bisogna dimostrare l’invalidità della condanna. In primo luogo, qualora l’accusa che verte su Ovidio sia quella di aver partecipato alla congiura ordita contro Augusto, si potrebbe allora accusare l’Imperatore di non aver esplicitato mai la motivazione della sanzione inflitta al poeta: avrebbe dovuto ammettere che alla congiura avevano partecipato anche i suoi strettissimi congiunti. Se veramente Ovidio avesse partecipato all’organizzazione di un attentato ad Augusto, avrebbe potuto mai la pena essere tanto mite? E gli altri congiurati chi sarebbero? In questo caso l’accusa si fonderebbe solo su ipotesi prive di testimonianze, che scagionerebbero Ovidio da ogni accusa. Qualora l’accusa sia invece quella di aver partecipato, direttamente o non, alle tresche amorose delle due Giulie, la pena risulterebbe illegittima, in quanto sembrerebbe che Ovidio non abbia potuto godere di un processo regolare, con tanto di difesa e accusa. Se infine la colpa del poeta sulmonese è stata quella di decantare un amore senza troppi vincoli, condannare Ovidio per questo motivo risulterebbe ridicolo: se i Romani, fregandosene delle leggi di Augusto, avevano abbandonato l’antica severità dei costumi, dandosi alla bella vita, se i matrimoni erano in calo e non si facevano più figli, di certo non era colpa di Ovidio.
E soprattutto, dettaglio da non prendere sottogamba, la condanna alla relegatio, secondo il diritto romano, veniva comminata a conclusione di un processo pubblico e poi ratificata dal Senato. Nel caso di Ovidio, essendo Augusto imperatore, la decisione fu soltanto sua.
Ora come ora, bisogna solo attendere che il decreto capitolino revochi ufficialmente la relegatio del poeta elegiaco latino.
Chissà se Ovidio, dopo due mila anni, non stia sussurrando dall’Oltretomba: “Meglio tardi che mai!”
Michele Porcaro
Rencontre à la Librairie Ombres Blanches, mardi 16 janvier 2018 de 18H00 à 20H00, avec Jean-Yves Frétigné, maître de conférence en histoire contemporaine à l’Université de Rouen, autour de la première biographie d’Antonio Gramsci aux éditions Armand Colin.
Le débat sera animé par Philippe Foro, maître de conférence en Histoire contemporaine à l’Université Toulouse – Jean Jaurès
Jean-Yves Frétigné est spécialiste de la pensée et des idées politiques en France et en Italie. Cette vie de Gramsci est la première biographie en Français du penseur et dirigeant marxiste italien.
Antonio Gramsci (1891-1937), écrivain et théorien politique, est le membre fondateur du parti communiste italien. C’est l’un des principaux penseurs du courant marxiste. Il fut emprisonné par le régime mussolinien jusqu’à sa mort, en 1937. Très connu en Italie, il a également une renommée considérable dans le monde entier et particulièrement en France.
Contre la présentation d’un Gramsci désincarné ou célébré en héros et martyr du communisme, cet ouvrage entend restituer l’homme en chair et en os, en montrant les étapes successives de son existence de sa Sardaigne natale à la prison fasciste, en passant par ses années estudiantines à Turin et son accession à la direction du Parti communiste d’Italie. Trop souvent réduite à quelques formules incantatoires, sa pensée, désormais considérée comme faisant partie du patrimoine classique des doctrines politiques du XXe siècle, trouve, en effet, sa véritable signification et sa modernité dans le contexte dans lequel elle se déploie.
Dans cette première biographie en français, Jean-Yves Frétigné restitue ainsi le parcours d’un intellectuel engagé dans le contexte de l’Italie libérale puis fasciste, voire de l’Internationale communiste. Un géant qui, contre Mussolini et Staline, défend un engagement au service d’un projet de renouveau politique adapté aux sociétés occidentales.
En condamnant le fascisme et le communisme réel, sa pensée constitue, hier comme aujourd’hui, un remède et un antidote aux dérives et aux dévoiements de l’idéal révolutionnaire.
naissait le 19 décembre 1861 à Trieste. Cette ville fait alors partie de l’Empire austro-hongrois et le restera jusqu’à la fin de la Première Guerre mondiale. Du fait de cette proximité politique, son père l’enverra étudier en Bavière où il apprendra l’allemand, ce qui lui permettra plus tard de découvrir les essais de Freud dès leur parution – il travaillera même à une traduction de La science des rêves . En 1892, il publie Une vie (Imaginaire/Gallimard), et en 1898 Senilità (Points Seuil), mais devant l’échec critique et commercial de ces deux livres, Svevo renonce à la littérature pendant près de vingt ans. Durant cette période, il rencontre James Joyce, qui sera un temps son professeur d’anglais à l’Ecole Berlitz de Trieste. Il lui fait lire Senilità , et l’Irlandais l’incite à reprendre l’écriture et à entreprendre la rédaction d’un nouveau roman. En 1923, Svevo connaît la célébrité (notamment en France, où un auteur comme Valery Larbaud défendra son oeuvre avec ferveur) avec La Conscience de Zeno (Livre de Poche). Italo Svevo meurt le 13 septembre 1928 près de Trévise, des suites d’un accident de voiture.
Séance exceptionnelle au Cinéma ABC Toulouse le lundi 18 décembre à 18h30
A travers de nombreuses images exclusives et inédites, des films Super 8 personnels, des enregistrements inédits, des lettres intimes, la chanteuse d’opéra la plus célèbre au monde se raconte….
ARTICLE

Trois des films- et pas des moindres on vous l’assure — dans lesquels il joue sont présentés au festival du cinéma italien Et vous savez quoi ? Il sera là pour en parler. Ainsi dès ce soir jeudi, le comédien Giuseppe Battiston rencontrera le public autour de deux films. D’abord «L’ordre des choses» (projection à 19h) présenté en avant-première. (Le film sortira sur les écrans fin février). Réalisé par Andrea Segre, qui dans son précédent film «La prima neve» traitait de l’immigration vue par les migrants, «L’ordre des choses» présenté à la Mostra de Venise, retourne le propos. Avec l’histoire d’un haut- fonctionnaire, en charge de la régulation des flux migratoires venant de Libye et qui va être tiraillé entre son devoir de respect de la loi et son sens de l’humanitaire après avoir rencontré Swada, une immigrante libyenne qui souhaite rejoindre son mari en Finlande et qui lui demande de l’aider. Ensuite, à 21h, Giuseppe Battiston présentera «Finché c’è prosecco c’è speranza » (Tant qu’il y a du prosecco, il y a de l’espoir ») qui a pour cadre la campagne de la Vénétie et les collines du Prosecco.
Là, l ‘inspecteur Stucky (Giuseppe Battiston), est appelé à enquêter sur un cas apparent de suicide : celui du comte Desiderio Ancillotto, producteur du plus excellent des proseccos, et qui a toujours respecté la vigne, la laissant parfois au repos et refusant tous les pesticides. Et ce contre l’avis des autres producteurs de la région qui préfèrent des manières plus productives. Un film policier au charme certain, ne sombrant jamais dans la violence. Un peu comme un bon Agatha Christie…
En fin demain vendredi, autre moment fort de cinéma avec « Dopo la guerra » (présenté à Cannes), dans lequel Guiseppe Battiston incarne Marco, un terroriste des années de plomb, auteur de l’assassinat d’un magistrat dans les années 70. Réfugié depuis en France, il est menacé d’extradition… Le temps a passé. Il a une fille de 16 ans. Une seule solution. La fuite. En Amérique du Sud. Mais… Le film, puissant et resséré pose la question de la prescription des crimes politiques.
Au cinéma ABC, jeudi 7 décembre «L’ordre des choses» 19h suivi par «Finché c’è prosecco c’è speranza» à 21h. Vendredi 8 à 19h «Dopo la guerra»
Riccardo Muti, maître et seigneur de l’opéra depuis plus de quatre décennies…
En 1987, Riccardo Muti répète Nabucco, de Verdi, à la Scala de Milan…
Quelques années plus tôt, sous la baguette de Riccardo Muti, un opéra de jeunesse de Verdi, Attila, formidablement distribué (Samuel Ramey dans le rôle-titre et Cheryl Studer dans le rôle d’Odabella).
Ce soir sur France 3 à 23h315, un documentaire saisissant à ne pas rater:
Réalisé par : Cécile Allegra et Mario Amura.
« Longtemps, la thèse de la vengeance de la Cosa Nostra a été évoquée pour justifier l’assassinat des juges Falcone et Borsellino, en guerre contre la Mafia.
Aujourd’hui, des témoignages de magistrats, de politiques et de mafieux sous protection, révèlent les coulisses d’un pacte initié par les États-Unis qui a permis à la Démocratie chrétienne de dominer la scène politique italienne et à la Mafia de régenter l’ordre dans l’ombre. Ainsi, les deux assassinats apparaissent comme de véritables crimes d’État. »
Le 23 mai 1992
C’était il y a 25 ans. , le juge Giovanni Falcone était tué dans l’explosion de sa voiture en Sicile.
L’assassinat de ce magistrat symbole de la lutte anti-mafia agira comme un détonateur.
Toute une société se réveille alors pour dire « non » à Cosa Nostra. À Palerme, ce funeste jour est encore dans toutes les mémoires.
Paolo Borsellino, qui était le bras droit de Falcone, s’est alors adressé aux jeunes magistrats.
Il a dit : ‘Vous voyez ce qui nous attend. Nous allons mourir.
Vous avez le choix de rester ou de partir.’ Naturellement, nous sommes restés. Et arriva ce qui devait arriver : Borsellino fut tué le 19 juillet 1992 dans l’explosion
Le 19 juillet 1992
Des images impossibles à effacer, une blessure très profonde pour toute une génération…et une mafia qui ne cesse de se réinventer…
» Mi uccideranno, ma non sarà una vendetta della mafia, la mafia non si vendica. Forse saranno mafiosi quelli che materialmente mi uccideranno, ma quelli che avranno voluto la mia morte saranno altri. »
Le cinéma italien pleure la disparition de l’un de ses plus célèbres comiques, à l’âge de 84 ans. L’acteur génois laisse derrière lui une immense filmographie, dont des collaborations saluées avec Federico Fellini ou encore Mario Monicelli.
Le cinéma italien est -une nouvelle fois- en deuil. Après Pier Paolo Pasolini en 2015 et Ettore Scola en 2016, Paolo Villaggio est mort à l’âge de 84 ans, a annoncé ce lundi 3 juillet sa fille, Elisabetta, sur le réseau social Facebook. Il comptait parmi les acteurs comiques les plus célèbres de la péninsule.
Éternel perdant
Mais le rôle qui va lui apporter sa réputation, Paolo Villaggio va se le créer lui-même. Passionné de littérature, il commence par écrire des romans comiques sur un certain Ugo Fantozzi. Un protagoniste fictif, qui va apporter toute sa notoriété à l’acteur. Le succès de ses livres satiriques est rapidement au rendez-vous. Et après pas moins de sept romans, il commence à adapter son personnage à l’écran, qu’il interprète lui-même.
Ugo Fantozzi est un comptable modeste, qui fait perpétuellement preuve de complaisances serviles. Le perdant magnifique, grotesque et ridicule. Craintif du monde qui l’entoure, soumis à ceux qui l’effraient. Il devient un symbole de cette Italie persécutée, comme victime d’une forme de malédiction.
Ce rôle culte, qui lui colle à la peau, va être pleinement exploité par Paolo Villagio lors d’une dizaine de films. «Disons tout de suite clairement que Ugo Fantozzi, c’était moi. Évidemment, non sans quelque paradoxe, mais c’était l’auto-portrait d’un perdant que je connais bien», expliquait-il notamment au Corriere della Sera en 2015.
Sur les réseaux sociaux, les hommages au comique italien.